domenica 23 ottobre 2016

Il testo nascosto della storia: gilania, androcrazia e le scelte per il nostro futuro

L'articolo è tratto dal primo numero (dicembre 1995) della rivista Pluriverso, l'autrice è Riane Eisler, la traduzione è di Marina Dossena. Buona lettura.


Riane Eisler
 Nel nostro tempo, dove i problemi ambientali, economici e sociali sono in  costante aumento, e necessario e urgente guardare al di sotto degli eventi storici apparentemente casuali, al fine di poter meglio comprendere, prevedere e influenzare il loro corso futuro. L'idea ottocentesca che la storia fosse una progressione da fasi più basse a fasi più alte [A. Comte, 1880-42, tr. it. 1979; J.J. Bachofen, 1967; L.H. Morgan, 1877] e stata completamente screditata. Altrettanto insostenibile e l'idea secondo cui "l'era scientifica" segna una regressione rispetto all' "età della fede", poiché, come afferma G. Rattray Taylor, il pio Medioevo era, per certi aspetti critici, "un incrocio tra un ossario e un manicomio"[G.R. Taylor, 1954]. 

 
Tuttavia, se la storia non è nè una progressione lineare nè una serie di cicli oscillanti, significa che non ci sono schemi? Secondo la teoria della trasformazione culturale da me sviluppata [R. Eisler, 1987a; 1987b, pp. 79-92; 1998a, pp. 181-208; 1998b, pp. 145-74; 1994, pp. 85-49; 1995] la storia non è nè lineare nè ciclica o puramente casuale, bensì il risultato dell'interazione tra due tipi di movimenti. Il primo è la tendenza dei sistemi sociali a muoversi dalle forme di organizzazione meno strutturate a quelle più complesse a causa, principalmente, di innovazioni tecnologiche o cambiamenti di fase. Il secondo è il movimento dei mutamenti culturali tra due modelli di base o "attrattori" di organizzazione sociale e ideologica che ho chiamato i modelli di dominazione e di partnership o, più specificamente, androcrazia e gilania. La teoria della trasformazione culturale ipotizza che un mutamento da una direzione gilanica a una androcratica abbia alterato radicalmente il corso della civiltà occidentale durante un periodo caotico di disequilibrio dei sistemi nella nostra preistoria. Ipotizza inoltre che, nel nostro tempo di crescente disequilibrio di sistemi, si abbia una forte spinta verso un altro mutamento fondamentale, questa volta dall'androcrazia a gilania. La teoria della trasformazione culturale introduce anche un nuovo approccio all'analisi della storia. Esso si basa su uno studio multidisciplinare che attinge a molteplici e disparati settori: sociologia, antropologia, archeologia, storia, economia, linguistica, scienze politiche, biologia, lo studio della mitologia e del folklore, la teoria dell'auto-organizzazione dei sistemi, la teoria del caos e la dinamica non-lineare. Forse il punto essenziale è che, a differenza di approcci convenzionali che si concentrano quasi esclusivamente su ciò che è stata giustamente chiamata "la storia dell'uomo", attinge a una serie di dati che comprende l'umanita in entrambe le sue componenti, femminile e maschile; inoltre, esso attinge ad una serie di dati che comprende non solo la storia, ma anche la preistoria.

Dea dormiente, Malta

 
 I sistemi sociali: due modelli di base

Se guardiamo solo una porzione di un'immagine, non possiamo vedere i collegamenti tra le sue molteplici parti in termini di sistemi, i suoi schemi o la sua configurazione. Applicando questi principi allo studio della società umana passata, presente e futura, possiamo prevedere che, poiché l'umanita si compone di una metà femminile e di una metà maschile, omettere di fatto la situazione, le esperienze, i bisogni, i problemi e le aspirazioni di una di queste metà nello studio della società ha causato gravi distorsioni e inesattezze. Poiché la mia ricerca adotta una metodologia olistico-sessuale, e stato possibile individuare qualcosa che, una volta descritto, appare evidente. Si tratta del fatto che il modo in cui una società struttura i ruoli e le relazioni delle metà femminile e maschile dell'umanità è di importanza fondamentale per la struttura di tutte le sue istituzioni: dalla famiglia, religione e istruzione, alla politica e all'economia. Questa costruzione sociale delle relazioni e dei ruoli sessuali, finora ampiamente ignorata, influisce profondamente, ed è a sua volta influenzata, anche dal sistema di valori-base di una società, ciò che Johan Galtung ha chiamato la cosmologia sociale o ideologia profonda [J. Galtung, 1979], e io chiamo le mappe culturali cognitive che organizzano e interpretano l'informazione perché si adatti alle esigenze di mantenimento del sistema. Inoltre, guardando la società umana da una base di dati che comprende tutta la nostra storia (inclusa la preistoria) e tutta l'umanità (sia la metà femminile sia quella maschile), è stato possibile vedere che, al di sotto della grande diversità di superficie dei sistemi sociali, si hanno due modelli base di organizzazione sociale, ciascuno con una configurazione propria di elementi dinamicamente interattivi e reciprocamente rafforzantisi. Il primo è il modello di dominazione, che è essenzialmente (benché non esclusivamente) basato sul principio organizzativo del rango e su una mappa culturale cognitiva in cui un tipo di essere umano è stimato a un Iivello più alto rispetto a un altro. A seconda di quale tipo umano di base femminile o maschile e collocato a un rango superiore all'altro, questo modello può avere due forme. Una prevede l'attribuzione alle donne di un rango superiore agli uomini in un'organizzazione sociale matriarcale o ginocratica. La seconda, che è stata prevalente nella maggior parte della storia, è la struttura sociale patriarcale o androcratica, basata sull'attribuzione di un rango superiore agli uomini in una gerarchia di dominazione sostenuta, in ultima analisi, dalla forza o dalla minaccia della forza. L'altro è il modello della partnership o gilania, che ha un'unica forma di base. Mentre il modello di dominazione si basa essenzialmente sul rango come principio organizzativo, il principio organizzativo basilare (benché per nulla esclusivo) del modello partnership o gilanico è quello del collegamento, dell'associazione. Qui nessuna delle due metà dell'umanità è collocata a un rango superiore all'altra in modo permanente, ma entrambi i sessi tendono a essere stimati uguali. La caratteristica specifica di questo modello e un modo di strutturare i rapporti umani che siano tra uomini e donne, o tra razze, religioni e nazioni differenti in cui la diversità non significa, automaticamente inferiorità o superiorità. I modelli sono, per definizione, astrazioni; tuttavia, se riesaminiamo società anche molto distanti tra di loro da questo nuovo punto di vista, osserviamo sorprendenti tratti comuni in società che in superficie sembrano completamente diverse. 

Il modello androcratico

I Samurai del Giappone medievale, la Germania di Hitler, i Masai dell'Africa Orientale del XIX secolo, e l'Iran di Khomeini sono generalmente considerati molto diversi tra di loro. Eppure, al di sotto della loro superficie palesemente diversa, c'è uno schema caratteristico che diventa visibile solo quando vengono prese in considerazione le informazioni sulle donne e i tratti e le attività che queste società attribuiscono alla femminilità o alla mascolinità. La cultura samurai è sorta da una forte tendenza non solo alla rigida dominazione maschile, ma anche a un sistema autoritario molto gerarchizzato in cui ai Samurai, o guerrieri cosi come al combattimento bellico era attribuito un grande valore [I. Takamure, 1975; A.Y. Carter, 1979; P. Mische, 1981]. Analogamente, la nascita del fascismo in Germania e stata caratterizzata non solo da una tendenza alla guerra e ad altre forme di violenza sociale istituzionalizzata, come gli infami campi di sterminio nazisti, ma anche dalla re-istituzionalizzazione della rigida dominazione maschile e dalla reidealizzazione del maschio come guerriero [C. Koonz, 1977; G. Moss, 1966 e 1979]. Anche la socializzazione maschile nella società guerriera dei Masai e imperniata sull'identificazione dell'identità maschile con la dominazione e l'aggressione: in altre parole, con la regola dell'uomo-forte, sia che si tratti di rapporti interpersonali sia intertribali. Analogamente, l'idealizzazione del maschio come guerriero "santo" e il ritorno delle donne al loro posto "tradizionale" in una famiglia rigidamente dominata dal maschio è stato uno dei tratti salienti del regime autoritario di Khomeini in Iran, caratterizzato anche da un alto grado di violenza sociale istituzionalizzata: dalla condanna a morte di donne che sfidavano il loro stato di asservimento al sostegno dato al terrorismo internazionale [F. Brenner, 1979]. In breve, la caratteristica comune di questi sistemi sociali apparentemente diversi è che in primo luogo essi si orientano verso lo stesso modello base di organizzazione sociale: la versione androcratica del modello di dominazione. Come i precedenti esempi di questo modello, ad esempio le teocrazie dell'antica Babilonia e della Giudea, gli Ariani, i Dori e altre tribù indoeuropee, queste società hanno una specifica configurazione sociale e ideologica: una rigida dominazione maschile, un'organizzazione sociale generalmente gerarchica e autoritaria, e un alto grado di violenza sociale istituzionalizzata, che va dal picchiare le mogli e i figli alla guerra permanente. Inoltre, più un sistema sociale si avvicina alla forma androcratica del modello di dominazione, più valori "maschili", come l'aggressione, la dominazione e la conquista, necessari al mantenimento del sistema, tendono a essere idealizzati e correlati all'autorità sociale. In queste società rigidamente governate dai maschi qualità come l'altruismo, la compassione, la pacificità, a parole possono essere apprezzate sia dalle donne sia dagli uomini, ma di fatto vengono poi considerate appropriate solo per le donne e gli uomini "deboli" o "effeminati" cioè per coloro che, nella struttura e nella cognizione sociale, sono automaticamente esclusi dall'autorità sociale [R. Eisler, 1987a e 1987c]. A questo punto intendo, però, evidenziare due aspetti importanti. Il primo è che qualunque società è destinata ad avere una qualche forma di violenza, quindi qui parliamo dell'istituzionalizzazione della violenza al fine di mantenere i severi ranghi della dominazione. Il secondo è che qui si tratta degli stereotipi della mascolinità e della femminilità basati essenzialmente su processi di socializzazione differenziati per sesso, e non di differenze biologiche innate. In effetti, molti uomini oggi rifiutano i loro ruoli "maschili" stereotipati: ad esempio, gli uomini che ridefiniscono la paternità secondo modalità di educazione e allevamento un tempo associate solo allo stereotipo della maternità. Inoltre, la maggior parte delle donne, come la maggior parte degli uomini, nelle società di dominazione spesso non sono state solo vittime passive, ma hanno anche svolto un ruolo attivo nel mantenimento dei ranghi di dominazione compresa la valutazione dell'uomo come superiore alla donna in conformità con gli insegnamenti religiosi e secolari secondo cui questi ranghi sono stabiliti dalla divinità o dalla genetica.

Il modello gilanico

Per contro, nelle società che si avvicinano al modello gilanico, o della partnership, troviamo una configurazione di base molto diversa: una maggiore parità nella collaborazione tra uomini e donne sia nella sfera cosiddetta privata sia in quella pubblica, una struttura politica ed economica generalmente più democratica e, poiché non necessari per mantenere severi ranghi di dominazione, l'abuso e la violenza non sono nè idealizzati nè istituzionalizzati. Inoltre qui i valori stereotipati "femminili" possono essere pienamente integrati nel sistema operativo dell'autorità sociale [R. Eisler, 1987a; 1987b, pp. 7932;1998a, pp. 181-208; 1998b, pp. 145-74; 1994, pp. 3549; 1995]. Sebbene oggi si abbia una forte tendenza verso questo tipo di organizzazione sociale (più notevole nei paesi scandinavi) [R. Eisler, 1995; R. Eisler, D. Loye e K. Norgaard, 1995], fino a poco tempo fa si credeva che le società che si avvicinano alla configurazione gilanica esistessero solo al livello tecnologico più primitivo, fra tribù quali i Bambuti, i Tiruray e i Kung [C. Turnbull, 1961; P. Draper, 1975; S. Schlegel, 1970]. Nell'Ottocento gli archeologi e gli storici del mito individuarono prove dell'esistenza di società preistoriche avanzate che non erano nè androcratiche nè patriarcali; tuttavia diedero per scontato che queste società, non essendo patriarcali, fossero matriarcali [J.J. Bachofen, 1967]. Le scoperte archeologiche più recenti, pero, cosi come il riesame più scrupoloso di reperti precedenti, indicano che queste società antecedenti in realtà si orientavano verso un modello di società gilanico o di partnership. Una caratteristica sorprendente di questi ritrovamenti e che essi sono coerenti con le note leggende di un'epoca antecedente più armoniosa e pacifica. La Bibbia ebraico-cristiana parla di un giardino in cui la donna e l'uomo vivevano in armonia tra di loro e con la natura prima che un dio maschio decretasse che la donna da quel momento in poi sarebbe stata asservita all'uomo. Il cinese Tao Te Ching descrive un'epoca in cui il principio femminile, o yin, non era ancora governato dal principio maschile, o yang un tempo più pacifico e più giusto, in cui, ci viene detto, la saggezza della madre era ancora onorata. Gli scritti del poeta greco Esiodo raccontano di una "razza d'oro" che viveva in pace prima che una "razza inferiore" introducesse Ares, il dio della guerra. Queste storie sono senza dubbio alquanto idealizzate, tuttavia offrono indizi importanti su ciò che gli archeologi stanno riscoprendo: che la civiltà non solo è molto più antica di quanto non si ritenesse, ma che originariamente era anche strutturata in base a linee molto diverse da ciò che ci è stato insegnato. [J. Mellaart, 1965; M. Gimbutas, 1974; N. Platon 1966; R. Eisler, 1987a e 1995]. Ad esempio, in Europa si è dimostrata l'esistenza di società neolitiche stabili che risalgono a circa 8000 anni fa, in cui fiorivano le arti e in cui, benché esistenti, le differenze di status e di ricchezza, come scrive l'archeologo britannico James Mellaart, non erano estremizzate [J. Mellaart, 1967]. Ci sono anche indicazioni specifiche sul fatto che queste società non erano dominate dai maschi; le donne erano sacerdotesse, artigiane, e, ciò che è sorprendente per molti, le loro immagini religiose antropomorfiche sono perlopiù femminili, anziché maschili. Come ha scritto l'archeologa Marija Gimbutas, prima che l'Europa Antica fosse percorsa dalle orde indoeuropee, la femmina era vista come "creativa e attiva" e nè la femmina nè il maschio erano "subordinati l'una all'altro" [M. Gimbutas, 1989 e 1977, pp. 277-339]. Infine esistevano anche società che, contrariamente alla nostra comune visione della natura umana, sembrano essere state generalmente più pacifiche di quella che sarebbe diventata la norma successiva, poiché si nota scarsita di fortificazioni e di segni di distruzioni provocate dalla guerra. Questo si riflette anche nelle loro mappe cognitive e nella simbologia, dato che troviamo nella loro arte, vasta e notevolmente avanzata, una generale assenza della glorificazione dei guerrieri e della guerra [J. Mellaart, 1967; M. Gimbutas 1974; J. Hawkes, 1968; N. Platon, 1966]. Anche più tardi, nell'arte della civilta dell'età del bronzo della Creta minoica in forte contrasto con altre civiltà progredite dell'epoca, che erano dominate dal maschio, molto autoritarie e costantemente in guerra non ci sono grandi statue o bassorilievi di potenti re, nè grandiose scene di uomini che si uccidono a vicenda nel corso della battaglia [J. Hawkes, 1968]. L'influsso della creativita "femminile" a Creta è spesso descritto dagli archeologi. E nelle parole di Nicolas Platon (già direttore del museo dell'Acropoli, che ha condotto scavi a Cretà per più di cinquant'anni) su quell'isola "l'importante ruolo svolto dalle donne è visibile a tutti i livelli" [N. Platon, 1966, p. 177]. Platon scrive che nella Creta minoica "tutta la vita era pervasa da un'ardente fede nella dea natura, fonte di ogni creazione e armonia. Questo portava amore per la pace, orrore della tirannia e rispetto per la legge" [Ivi, p. 148]. L'arte minoica, descritta dagli studiosi come unica nella storia della civiltà per il suo amore per la vita e la natura, riflette anche una mappa culturale cognitiva che sottolinea il principio dell'associazione non solo tra gli umani, ma anche con segni di una spiritualità basata sulla natura che oggi potremmo definire una profonda coscienza ecologica. In breve, benché queste non fossero società ideali o prive di violenza, vi sono comunque prove archeologiche e mitiche secondo le quali la direzione originale della civiltà occidentale era più pacifica ed equilibrata dal punto di, vista sociale ed ecologico, caratterizzata da mappe cognitive che riflettevano un'organizzazione sociale e ideologica orientata verso un modello gilanico. Esistono, però, anche prove del fatto che, durante un periodo di caos o di grande disequilibrio sistemico, ci sia stato un profondo mutamento culturale che ha introdotto millenni orientati a un modello androcratico [J. Mellaart, 1965; M. Gimbutas, 1991]. Si giunge a questo punto all'interazione tra i mutamenti culturali e i cambiamenti di fase tecnologica che intendo delineare nel seguito di questo articolo. 

Ucraina: cultura matriarcale Trypillian di 6000 anni fa

Cambiamenti di fase tecnologica e mutamenti culturali


La comparsa della nostra specie ha portato con sè i primi utensili e i primi manufatti, cosi come uno strumento concettuale di primaria importanza: il linguaggio. Ciò ha dato inizio a un processo coevolutivo che, dapprima gradualmente, e poi a ritmi sempre più sostenuti, ha profondamente modificato il nostro ambiente terrestre e, in certa misura, oggi anche quello extraterrestre. In questa fase iniziale dell'età della co-evoluzione umana compaiono per la prima volta anche le due forme base di organizzazione sociale umana che ho identificato. Tradizionalmente si è fin qui presupposto che lo sviluppo di un'organizzazione sociale androcratica e lo sviluppo della società prima ominide e poi umana fossero la stessa cosa, con "l'uomo-cacciatore" presentato come unico protagonista della nostra prima evoluzione tecnologica. Tuttavia, la caccia non rientrava tra le attivita principali dei primi ominidi, poiché i resti fossili indicano che (come i primati, le scimmie e le società umane contemporanee che si spostano alla ricerca di cibo), essi sopravvivevano con una dieta vegetariana. Inoltre, come la paleoantropologa Adrienne Zihlman e l'antropologa Nancy Tanner osservano, "la donna-raccoglitrice" sembra aver svolto un ruolo di primo piano nell'evoluzione della tecnologia umana [N. Tanner, 1981; A. Zihlman, 1978]. Zihlman e Tanner citano dati secondo i quali le femmine degli scimpanzè, che, come le madri umane, dividono il cibo con la loro prole, sono tra i non-umani più abili nell'uso degli utensili, spesso servendosi di bastoncini per meglio raccogliere radici e piccole forme di proteine animali [N. Tanner, 1981; A. Zihlman, 1978]. Esse sostengono che le madri ominidi che dividevano il cibo con la loro prole (e quindi dovevano raccogliere cibo in più) facevano lo stesso, e quindi e probabile che abbiano anche dato forma ai primi contenitori per raccogliere e immagazzinare il cibo. 


Oltre a ciò, Zihlman e Tanner ritengono che, sviluppando queste tecnologie, e usando inoltre pietre e mortai per ammorbidire le fibre vegetali destinate ai più piccoli, queste femmine abbiano anche aumentato le probabilità di sopravvivenza della loro prole. Queste tecnologie hanno anche facilitato la graduale comparsa nella nostra specie di mascelle e di denti molto più piccoli al posto di quelle grandi mascelle e mandibole con cui la maggior parte degli altri primati ammorbidisce i cibi vegetali un processo co-creativo che a sua volta ha facilitato l'evoluzione di una specie con spazio sufficiente per un cervello voluminoso e per la laringe, che ha reso possibile i vocalizzi che chiamiamo linguaggio. Inoltre, Zihlman indica l'organizzazione sociale dei cosiddetti scimpanzè-pigmei, o bonobos, più pacifici e paritari, come un possibile modello per le nostre origini ominidi [A. Zihlman, 1989, pp. 81-105]. Più recentemente, ho esteso la teoria della trasformazione culturale fino a includere questo suggerimento in una nuova teoria della prima evoluzione culturale umana multilineare, invece che unilineare [R. Eisler, 1995, cap. 2], nella quale si ipotizza che questa evoluzione non abbia seguito un solo percorso, ma piuttosto una varietà di percorsi con gruppi in ambienti diversi che si sono evoluti in direzioni diverse, alcuni orientandosi principalmente verso un modello di partnership o gilanico, altri verso un modello androcratico.





L'era agricola

 Il successivo cambiamento di fase più rilevante nella storia del nostro pianeta è il passaggio della nostra specie da tecnologie per la raccolta del cibo alla nostra cocreazione, insieme alla natura, di nuovo cibo attraverso le tecniche dell'agricoltura. Questa fase ha inizio circa 10.000 anni prima dell'era cristiana [J. Mellaart, 1975], agli albori del neolitico, o "prima era Agricola". Di nuovo, sebbene il resoconto tradizionale di questa fase dell'evoluzione tecnologica sia stato androcentrico, si hanno numerose testimonianze di un sistema complesso di immagini religiose neolitiche centrate sulla figura femminile antropomorfica [J. Mellaart, 1967 e 1975; M. Gimbutas, 1974; E. Neumann, 1955]. Come osserva l'archeologo britannico James Mellaart, queste immagini non solo forniscono informazioni importanti sui sistemi di fede di Qatal Huyuk e altri siti del primo neolitico: esse forniscono anche "l'anello di congiunzione mancante" tra le cosiddette Veneri del paleolitico (immagini femminili di 25.000 anni fa, corpulente e spesso gravide) e la venerazione agli albori della storia di una grande dea dal cui grembo ha origine tutta la vita e al cui grembo tutta la vita ritorna dopo la morte, come i cicli della vegetazione, per nascere di nuovo [J. Mellaart, 1967]. Tuttavia, come abbiamo già notato, piuttosto che matriarcati o società dominate dalle femmine, queste prime società agricole sembrano essere state società in cui uomini e donne vivevano e operavano in collaborazione. E sebbene, come pure ho osservato in precedenza, non fossero società ideali, esse sembrano aver avuto una struttura sociale più ugualitaria e più pacifica. È da queste società che abbiamo ereditato la creazione e/o il perfezionamento delle tecnologie di base su cui in seguito si sono fondate le civiltà dalla trasformazione delle fibre in tappeti elaborati (anche da appendere al muro) e vestiti, all'uso dell'argilla e del legno per la costruzione di abitazioni e mobili sempre più complessi, alla costruzione di barche adatte alla navigazione in mare per il trasporto e il commercio, alla prima estrazione e fusione dei metalli per produrre gioielli e utensili. Ed è qui, derivata da un rifornimento di cibo e di altre risorse naturali molto più affidabile e, quindi, dalla concentrazione di popolazioni molto più numerose, che si osserva anche la prima grande espansione delle risorse mentali dell'umanità, attraverso la creazione di un sistema culturale molto più complesso, con elaborati sistemi religiosi, di governo e artistici. L'agricoltura, però, poteva svilupparsi solo in territori relativamente fertili. Nelle regioni meno ospitali del nostro pianeta c'è stato un diverso sviluppo tecnologico: il passaggio alla pastorizia nomade invece che all'agricoltura. Sono state le migrazioni di massa di alcune di queste popolazioni in tempi di crescente marginalizzazione (siccità particolarmente prolungata e progressiva desertificazione) che hanno introdotto una serie di cambiamenti radicali nell'evoluzione culturale e tecnologica occidentale a partire da un periodo tra il quinto e il quarto millennio a.C. [J. Demeo, 1991, pp. 247-71]. In Europa furono popolazioni indoeuropee che, come scrive l'indoeuropeista J.P. Mallory, distrussero e si sostituirono alle culture precedenti. Queste popolazioni, che, come nota Gimbutas, erano "governate da classi sacerdotali e guerriere che avevano il dominio sui cavalli e le armi da guerra" [J.P. Mallory, 1989, p. 288; M. Gimbutas, 1991], portarono con sè una diversa enfasi tecnologica. Nelle precedenti società più gilaniche, l'accento era stato posto sulle tecnologie tese a creare: tecnologie per sostenere e migliorare la vita umana, che erano guidate dall'immagine vitale di una grande madre. Dopo il mutamento nella direzione androcratica come è prevedibile in una cultura che nelle sue fasi tecnologicamente più primitive, come scrive Marija Gimbutas, letteralmente venerava la potenza letale della spada [M. Gimbutas, 1977, p. 281] l'accento viene posto sulle tecnologie per distruggere: tecnologie che permettono agli uomini di dominare e conquistare, guidati dall'immagine mortale di dei della guerra apparentemente diversi, ma essenzialmente correlati tra di loro, come il greco Ares o l'ebraico Yahweh o Jehovah. Persino divinità femminili come Ishtar e Atena, attraverso processi di cooptazione, vengono a essere identificate con la guerra - una completa metamorfosi ideologica, come osserva lo storico delle religioni E.O. James [E.O. James, 1959]. Di conseguenza, nella maggior parte delle civilta dell'età del bronzo, con l'importante eccezione della Creta minoica, il carattere della civiltà occidentale venne profondamente alterato. Tuttavia e questo è di importanza fondamentale per la revisione delle nostre mappe cognitive della storia anche dopo questa profonda trasformazione sociale e ideologica la gilania è rimasta nel sostrato culturale, cooptata e sfruttata. In termini di dinamica dei sistemi, la gilania ha svolto anche la funzione di "attrattore periodico". Questo significa che, entrando nella storia, cominciamo a vedere oscillazioni fra periodi di riemersione del modello gilanico, seguiti, finora, da periodi di regressione a un'approssimazione più fideistica del modello androcratico - per esempio, gli inizi del cristianesimo ispirati agli insegnamenti di fratellanza di Gesu', ma seguiti dal sorgere di una chiesa "ortodossa" rigidamente dominata dal maschio, autoritaria ed estremamente violenta (come nelle sue inquisizioni e i roghi delle streghe). 






 L'era industriale

 La fase successiva più rilevante nel progresso tecnologico della nostra specie fu il passaggio all'era industriale che è oggi accusata di numerosi mali planetari. Di nuovo, però, usando la struttura concettuale della teoria della trasformazione culturale, vediamo che molte colpe che sono state attribuite alla scienza moderna, all'invenzione di potenti macchine industriali e al passaggio da un paradigma religioso a uno secolare/scientifico, possono essere spiegate in termini di dinamica di mantenimento di un sistema androcratico. Sicuramente l'idealizzazione della "conquista della natura da parte dell'uomo" non è stata introdotta dalla scienza newtoniana o dal razionalismo cartesiano. È articolata in modo molto chiaro in brani religiosi come quello dal Libro della Genesi (1:28), in cui leggiamo che Dio diede all'uomo il dominio "su ogni creatura vivente che si muove sopra la Terra". E la frase spesso citata di Bacone, secondo cui la scienza deve "estorcere alla natura i suoi segreti" [cit. in F. Capra, 1988, p. 56], non è una funzione del pensiero moderno, ancor meno della scienza moderna, bensì di mappe cognitive arroccate sulla dominazione che risalgono al babilonese Enuma Elish, in cui il dio Marduk crea il mondo smembrando il corpo della dea madre Tiamat. In altre parole, il problema chiave dei tempi moderni non è, come si sostiene a volte, la scienza moderna e la tecnologia. È la scienza moderna e la tecnologia all'interno di esigenze di mantenimento del sistema di un'organizzazione sociale orientata alla dominazione, con le sue mappe culturali cognitive che presentano un'organizzazione sociale gerarchica, sempre violenta, sfruttatrice, e fondamentalmente ingiusta, come semplicemente naturale e persino morale. Ad esempio, non c'era alcun motivo intrinseco per cui gli impianti di produzione nelle prime fasi dell'industrializzazione dovessero essere progettati come catene di montaggio in cui persino gli esseri umani diventavano semplici ingranaggi di un enorme meccanismo come si è dimostrato con la divisione della fabbrica della svedese Volvo, che negli anni '60 è passata a una progettazione completamente diversa, in cui le squadre di lavoro potevano prendere molte decisioni autonome sul modo migliore di costruire un'automobile, anziché essere trasformati in poco più che automi umani. Non c'era neppure qualcosa di intrinseco alla tecnologia industriale perché le fabbriche, le miniere e le altre imprese rendessero praticamente schiavi gli uomini, le donne e i bambini all'interno di luoghi di lavoro pericolosi dove essi venivano disumanizzati e sfruttati. Nè c'era nulla di intrinseco alle tecnologie industriali che giustificasse un uso in cui le capacita della natura di dare e sostenere la vita, proprio come le stesse capacita della donna, fossero viste come nient'altro che qualcosa di naturalmente dovuto all'uomo da usare come egli ritiene opportuno, con saccheggi sempre più efficienti dal punto di vista tecnologico. 





 L'era nucleare/elettronica/biochimica

 Il quarto cambiamento di fase tecnologica più importante ha avuto inizio nella seconda metà del XX secolo all'epoca in cui scriviamo, solo qualche decennio fa. Si tratta dell'era nucleare/elettronica/biochimica, contrassegnata dallo sfruttamento dell'energia nucleare, dai microchip che potenziano i computer, nonché da svolte scientifiche come la decodifica del Dna e i tentativi da parte degli scienziati di creare la vita in laboratorio. Questo cambiamento di fase tecnologica ci ha portato a un punto in cui la nostra specie è diventata la forza evolutiva più potente del pianeta, portando al culmine la nostra espansione tecnologica: dalle tecnologie delle mani e del cervello all'emersione di tecnologie di produzione umana tanto potenti quanto i processi della natura. E - a causa della continua influenza di mappe cognitive culturali di dominazione - queste comprendono tecnologie di morte di potenza inaudita, armi sempre più "avanzate" e dai costi esorbitanti. È un tipo di potenza che può distruggere tutta la vita su questo pianeta e che in precedenza era attribuita solo a un supremo dio padre. Tutto questo ha incoraggiato un impegno sempre più intenso per realizzare il passaggio da un modello di organizzazione sociale e ideologica di dominazione a un modello di partnership. Questo moderno movimento gilanico, che sfida radicate tradizioni di dominazione, aveva già avuto inizio con le ribellioni politiche post-illuministe contro le monarchie "di diritto divino" in Europa e in America nel XVIII e XIX secolo. È poi proseguito nel XX secolo con una sfida sempre più forte al razzismo, al colonialismo, e attraverso la ripresa del femminismo alla supremazia della metà maschile dell'umanità su quella femminile. Piu' recentemente, anche la conquista e il dominio sulla natura sono stati sfidati dal moderno movimento ambientalista e da ciò che viene talvolta definito un nuovo paradigma scientifico imperniato sull'interconnessione di tutte le forme di vita su questo pianeta. Allo stesso tempo, anche la sfida alla terza componente principale dell'androcrazia, un alto grado di violenza istituzionalizzata, è diventata sempre più forte: non solo nel crescente rifiuto della guerra come mezzo per la risoluzione dei conflitti, ma anche attraverso una maggiore consapevolezza (e di conseguenza una pubblica avversione) per forme istituzionalizzate di violenza privata, come la violenza sulle donne e i bambini, nonché lo stupro. Questo crescente movimento planetario verso Gilania ha però innescato anche un'intensificazione delle pressioni per il mantenimento del sistema androcratico. Un esempio di ciò, visibile ovunque oggigiorno, e la re-idealizzazione dell'aggressione e conquista "maschile", che, come dimostrano i lavori degli psicologi David Winter e David McClelland, anticipa quello che in effetti vediamo in tutto il mondo: un'escalation di violenza nei rapporti intertribali e internazionali, oltre che privati. Un altro esempio è la concentrazione di enorme potere politico ed economico nelle mani di mastodontiche compagnie transnazionali, che porta i governi e le agenzie internazionali come la Banca mondiale o il Fondo monetario internazionale a formulare politiche che aumentano il divario tra chi ha e chi non ha, comprese politiche di "aggiustamento strutturale" che continuano a decurtare i fondi sociali destinati a priorità tipicamente femminili come l'alimentazione dei bambini e la tutela della salute. Un altro esempio ancora - in un'epoca in cui la popolazione mondiale, con un incremento annuo di 90 milioni di unita, aumenta a ritmi vertiginosi, esacerbando problemi economici, ecologici e sociali già gravi - è la pressione che elites religiose dominanti esercitano per continuare a privare le donne non solo di tecnologie per la pianificazione familiare, ma anche di opzioni di vita che vadano oltre quelle della maternità attraverso la pari opportunità di istruzione e altri miglioramenti della condizione femminile. Un ulteriore esempio e il ritorno di dogmi religiosi che esaltano il governo dell'uomo forte sia in famiglia sia nello stato [R. Eisler, 1995], un fenomeno che si sta verificando in tutto il mondo attraverso il sorgere del cosiddetto fondamentalismo religioso cristiano, musulmano, indu' ecc., che in realtà è fondamentalismo dominatore. In effetti, una delle grandi ironie del nostro tempo è che quelli che oggi chiedono il ritorno dei "bei tempi andati", quando la maggior parte degli uomini e tutte le donne sapevano ancora "stare al proprio posto", hanno avuto ragione nell'individuare la cosiddetta questione femminile come punto centrale per il dibattito, opponendosi aspramente, e sempre più violentemente, a qualunque cambiamento nella condizione femminile. Tuttavia, anche molti di coloro che rifiutano un governo autoritario e l'istituzionalizzazione della violenza tipica dei sistemi dominatori considerano ancora quello che riguarda i ruoli e le relazioni fra donne e uomini come una "questione femminile" secondaria da trattare, semmai, dopo questioni "più importanti". Quindi, dato che le mappe cognitive culturali della maggior parte degli scritti liberali, socialisti, umanisti, "progressisti", hanno trattato quella che i marxisti chiamavano "la questione della donna" come secondaria rispetto alla lotta dell'uomo per la libertà e l'uguaglianza, viene a mancare il terzo elemento principale della configurazione di collaborazione come una struttura a tre gambe che ne abbia solo due e perciò un'organizzazione sociale e ideologica più pacifica e giusta non puo avere basi solide. 



 La fase della realizzazione umana o dell'estinzione

 Oggi siamo a un livello di sviluppo tecnologico che, guidato da una mappa culturale cognitiva gilanica, sarebbe in grado di condurre a un'era in cui l'uso più alto della creatività umana potrebbe significare la realizzazione delle nostre specifiche potenzialità umane. Questa era potrebbe essere un tempo in cui unire le nostre forze per creare le istituzioni sociali capaci di sostenere, anziché impedire, l'uso della creatività umana a questi fini. C'è, però, anche un'altra possibilità: che una mappa culturale cognitiva di dominazione, al nostro livello di sviluppo tecnologico, ci possa portare all'estinzione, alla fine della nostra avventura su questo pianeta. Dallo studio della dinamica dei cambiamenti dei sistemi sappiamo che, quando un sistema si avvicina a un bivio cruciale, può non essere possibile prevedere quale corso prenderà [I. Prigogine e I. Stengers, 1979; D. Loye, c.d.s.]. Si possono invece prevedere i fattori o gli interventi che amplificheranno le nucleazioni desiderate, nonché quelli che tenderanno ad arrestare il fenomeno. Delineando la dinamica interattiva dei mutamenti culturali e dei cambiamenti di fase tecnologica che ho tratteggiato in questo articolo, mi sono convinta che, benché questo non sia l'unico fattore, possiamo ancora completare il passaggio da un mondo androcratico a un mondo gilanico se si presta attenzione, in questa epoca di intenso disequilibrio di sistemi a livello mondiale, a quello che possiamo chiamare il testo sessuale nascosto. Per riuscirci, dobbiamo affrontare molte forme intersecate di dominazione e di sfruttamento, dalla dominazione economica e dallo sfruttamento delle razze "inferiori" alla dominazione e sfruttamento sfrenato della natura. Ma solo quando le relazioni fondamentali tra la metà femminile e quella maschile dell'umanità diventeranno più equilibrate potremo avere le basi che ci sono mancate finora: solide basi su cui costruire un mondo più giusto, più pacifico, ed ecologicamente sostenibile. Desidero, dunque, concludere con un appello agli studiosi e agli educatori perché siano ripensate le nostre mappe culturali cognitive. Lasciamoci alle spalle la vecchia "storia dell'uomo", con il suo approccio alla ricerca e all'insegnamento cosi frammentario, centrato sul maschio. Guardiamo invece alla storia umana nella sua interezza, comprendendo la socializzazione sessuale che tanto a lungo ha mantenuto un sistema che, a questo punto del nostro sviluppo tecnologico, può portarci in un vicolo cieco dell'evoluzione. Solo in questo modo potremo sviluppare quelle nuove mappe cognitive che ci apriranno la strada non solo per una migliore comprensione del nostro passato e del nostro presente, ma anche per formulare scelte più consapevoli per il nostro futuro.


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